domenica 11 dicembre 2011

I nostri paesi

I nostri paesi, sempre più spopolati, sono ormai come una grande famiglia, con tutto ciò che essa comporta, nel bene e nel male. La condivisione di molte cose, di problemi più o meno importanti, di gioie e di dolori, di sentimenti comuni, di speranze e proccupazioni. Giovani, anziani, vecchi e bambini si consultano, si consigliano, si fanno domande. Una domanda che si ripercorre in questi giorni è: "Dove andremo a finire?". Già, quando nel nome di chissà quale progettazione si abolirono i fabbricati rurali, molti, che erano stati contadini  fino ad allora e che per ragioni di età (avanzata) si ritrovavano in pensione, si sentirono "fregati" e vessati nel momento in cui si trovarono a pagare su gradili, casoni, cascine e pollai tasse dello stato e comunali. Ci fu chi disse, ma fu poco ascoltato: "Questa sarà l'eutanasia della civiltà rurale", e qualcun altro aggiunse: "Sarà il tarlo, che intaccando le radici, farà morire tutto l'albero". Giusto ieri sera, insieme a molti della nostra famiglia paesana, di salde origini contadine (ci tengo a dirlo), uno è uscito con questa battuta che mi è rimasta impressa e che credo possa indurre a qualche considerazione: "Quand'ero piccolino c'era la mezzadria e si dividevano a metà i prodotti della terra col padrone, ora si dividono a metà i nostri beni con lo stato".

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